Friday 8 October 2021

Quando la carne ritorna a fluire di vita

La mia migliore amica me l’ha sempre detto: “Così sei brutta”.

E che cazzo vuoi che me ne freghi a me di essere brutta, pensavo. Qui ho da portare avanti una missione minuziosa e autodistruttiva livello 2000, e questa mi dice che sono brutta; non è minimamente nelle mie più lontane priorità. Eppure, non ne comprendevo il significato più profondo, ma semplicemente il lato ingannevole.


Scavare, respingere e assottigliare è la mia più grande maestria e senso di forza. Ingannevolmente, ancora una volta. Imperterrita penso di aver ripreso il timone in una direzione stupenda e piena di luce. Invece a volte, quella è solo una dinamo, e tu stai facendo una sosta un pò troppo lunga. Quando il buio ti assale, tra l’altro, non te ne accorgi neanche subito. Hai un occhialone da sole che ti fa percepire le gradazioni cromatiche in maniera distorta.


Maddai. A proposito di distorsione. Perché l’amore passa tutto attraverso la bocca? 

Mangi, baci, succhi, soffi, urli, inspiri. Eppure, l’amore arriva anche fino alle caviglie e alle scapole. 


Il senso di disorientamento che si prova quando smetti di nutrirti nel modo giusto, è infinito. Come infinito l’amore e la felicità di cui ti stai privando. Sì, perché non ti stai privando solo di cibo, quella è un’illusoria ed inevitabile apparenza. Ciò che stai togliendo alla tua vita va aldilà del tangibile. Certo, l’assottigliamento della tua figura è uno spiraglio di spaventevole pericolo, ma anche la vita stessa e l’entusiasmo verso essa fluisce via.


Parlo di fluire, perché è il verbo più adeguato per parlare di questo mostro.


L’anoressia è un mostro che fluisce. Come in montagna l’acqua gelida fluisce tra le rocce. Come la linfa vitale scorre tra le vene dei rami e delle foglie, come le stagioni di anno in anno, come l’amore di una madre per un figlio, come le vacanze estive quando andavamo a scuola. 

Fluisce, perché per me questa malattia mi ha dimostrato che non sono fatta per cementificarmi nel dolore, ma per scorrere tra un binario incagliato e uno stabile. Questo demone non è nient’altro che una forma solubile delle mie ombre; si scioglie e defluisce.


Mia zia, sempre lei, dice: “Attraverso quegli spigoli che vedevo fuoriuscire, era proprio come se tu ti immolassi.” Mi sono innamorata degli spigoli perché per me rappresentavano le punte delle lance della mia guerra personalissima. Senza quelle ispidezze, pensavo di non sapere come difendermi altrimenti. E quindi, mi organizzavo ad avere le armi più appuntite, pronta per scendere in campo. Se non fosse per l’unico scompenso di avere perso completamente il senso di protezione e difesa di me stessa. In definitiva, immolarsi a se stessi.


La fatica che provo nello svegliarmi ogni mattina di fianco al mio mostro è abbastanza una delle cose più sotto pelle che io abbia mai provato. Ma non mi identifico in essa.

La fatica esiste e mi accompagna sempre, ma tra le varie lacrime, ricordo esattamente la persona che voglio essere. La persona che gode della vita e che riempie gli spazi con la curiosità di un mondo più interessante. E questo, anche se non sembra, è abbastanza.


Quindi, amica mia, avevi ragione tu. Non c’è niente di più bello, che ritornare ad essere belle. Ritornare ad avere una faccia che, una volta piena, grida: “Grazie di essere ritornata a casa”.

Perché io voglio sentirmi a casa: tra le mie ossa, le mie sacre cosce, le mie forti braccia, i miei occhi pronti, i miei fianchi ovali. Questa è casa mia, è bellissima, e non la metto più in affitto.